Libro Primo, Capitolo Terzo


LIBRO PRIMO
CAPITOLO TERZO



...Sei tu una cosa?
Sei tu un Dio, un Angelo, o un Diavolo
che mi fai congelare il sangue e rizzare i capelli?
Parla, dimmi che cosa sei.

Shakespeare, "Giulio Cesare"


Dopo l'ultima visita ad Altieri, Vivaldi divenne assiduo frequentatore della signora Bianchi, ed Elena fu infine convinta a unirsi a loro. La conversazione si teneva su argomenti generali. La signora Bianchi, considerando le disposizioni d'animo della nipote e l'intelligenza e l'educazione di Vivaldi, ritenne che egli avesse maggiori probabilità di successo ricorrendo a silenziose attenzioni piuttosto che non dichiarando formalmente i propri sentimenti. Una tale dichiarazione avrebbe potuto spaventare Elena, fintanto che il suo cuore non fosse stato più devoto all'amore di Vivaldi, e indurla a respingerne la corte: cosa che diveniva ogni giorno meno verosimile, sempre che gli venisse data occasione di conversare con lei.
La signora Bianchi aveva comunicato a Vivaldi che non c'era alcun rivale da temere, che Elena aveva regolarmente allontanato tutti gli ammiratori che fino ad allora avevano osato disturbarla nella quiete delle sue stanze, e che il presente riserbo derivava più dalla consapevolezza delle opinioni della famiglia di Vivaldi che dalla disapprovazione della sua condotta. Egli si astenne pertanto dal presentare la sua richiesta fin quando non avesse conquistato più a fondo il suo interesse. Quest'ultima speranza veniva incoraggiata dalla signora Bianchi, le cui maniere cortesi si facevano giorno dopo giorno più compiacenti e persuasive.
Passarono in tal modo parecchie settimane, finché Elena, cedendo alle istanze della signora Bianchi e alla voce del proprio cuore, accettò di riconoscere Vivaldi quale suo spasimante, e il punto di vista della famiglia di quest'ultimo non venne più tirato in ballo, se non con la speranza che considerazioni più urgenti sarebbero infine prevalse.
I due amanti, con la signora Beatrice e un certo signor Giotto, un lontano parente, si concedevano frequenti gite negli splendidi dintorni di Napoli. Vivaldi non si preoccupava ormai di tenere nascosta la sua devozione, anzi desiderava contraddire le voci che offendevano la sua amata rendendo pubblico il suo intento. La considerazione che l'onorabilità di Elena era già stata danneggiata dall'imprudenza dello stesso Vivaldi contribuiva, assieme all'inconsapevole innocenza e alla dolcezza delle maniere di Elena nei suoi confronti - lui che era stato la causa di quelle ingiurie - a infondere una delicata compassione al suo amore così da cancellare dalla sua mente gli affari di famiglia e legare indissolubilmente Elena al suo cuore.
A volte andavano in gita a Pozzuoli, a Baia, o alla boscosa costiera di Posillipo, e quando tornavano costeggiando il golfo illuminato dalla Luna, la melodia delle canzoni italiane sembrava conferire un dolce incanto allo scenario delle spiagge. Nella frescura della sera udivano spesso voci di vignaiuoli intonare trii, mentre cercavano refrigerio all'ombra dei pioppi su uno degli ameni promontori, dopo una giornata di fatica; oppure un'allegra musica di pescatori, che danzavano a ridosso delle onde più in basso.
Mentre i marinai riposavano appoggiati ai remi, essi ne ascoltavano le voci addolcite dalla gentilezza dell'animo più di quanto non sia possibile in virtù dell'esercizio; o altrimenti osservavano la naturale e aggraziata leggerezza che contraddistingue le danze dei pescatori e dei contadini di Napoli. Spesso, aggirando un promontorio la cui massa boscosa sovrastava il mare lontano, si dispiegavano agli occhi della comitiva magici scenari di bellezza, adornati dai gruppi danzanti lungo la baia antistante, quali nessun pittore saprebbe ricreare. Le acque chiare e profonde che riflettevano le varie forme del paesaggio; la costiera delle fessure selvagge, coronata da boschetti che sovente spandevano le foglie increspate lungo la scoscesa con effetto pittoresco e lussureggiante; e le rovine di una villa arroccata fra picchi arditi che facevano capolino in mezzo agli alberi; le baracche dei contadini sospeso sui precipizi, e le figure danzanti sulla spiaggia: tutto questo appariva loro velato dalla tinta argentea e dalle soffici ombre del chiaro di Luna.
Dall'altra parte, il tremolio del mare percorso da una lunga linea splendente, e nella tersa lontananza le vele delle navi in fuga in tutte le direzioni sulla sua superficie, offrivano uno spettacolo tanto grandioso quanto meraviglioso era il paesaggio.
Una sera in cui Vivaldi sedeva con Elena e la signora Bianchi nello stesso padiglione in cui aveva potuto ascoltare quel breve ma significativo colloquio che lo aveva reso certo della stima di Elena, egli insisté con maggiore premura del solito in favore di un matrimonio a breve termine. La signora Bianchi non contrastò le sue argomentazioni; da qualche giorno non stava bene, e credendo di essere ormai prossima al declino era ansiosa di vedere celebrate le nozze. Guardò con gli occhi languidi la scena che si apriva dinanzi al padiglione. L'intenso fulgore che il sole al tramonto calava sul mare mostrava innumerevoli navicelle gaiamente dipinte e barche da pesca che da Santa Lucia rientravano nel porto di Napoli: ma ciò non era più in grado di rasserenarla. Anche la torre romana sulla punta del molo lontano, baciata da raggi obliqui, e le sagome dei pescatori sdraiati nell'ombra allungata sotto le sue mura a fumare oppure in piedi sulla sabbia al sole, in attesa dell'arrivo delle barche dei loro amici, componevano un quadro che ormai non aveva per lei alcun interesse.
"Ahimé!", disse, rompendo un silenzio pensoso, "Questo sole così glorioso che accende tutti i diversi colori delle spiagge, e il chiarore delle montagne maestose, ahimé! Sento non brilleranno a lungo per me... i miei occhi si chiuderanno a questa veduta per sempre!"
Al tenero rimprovero di Elena per il malinconico presentimento la signora Bianchi rispose solo esprimendo l'ardente desiderio di essere testimone del giorno che avrebbe assicurato a Elena sicurezza e protezione; e aggiunse che questo doveva avvenire presto, perchè poteva non vivere abbastanza a lungo per assistervi. Elena, estremamente colpita sia dal presagio che dalla fine della zia che dal diretto accenno alla sua stessa condizione in presenza di Vivaldi, scoppiò in lacrime, mentre questi, sostenuto dai voti della Signora Bianchi, presentava le sue richieste con maggiore insistenza.
"Non è questo il momento di perdersi in scrupoli e cavilli", disse la signora Bianchi, "Ora che una realtà solenne ci richiama all'ordine. Mia cara ragazza, non maschererò i miei sentimenti: essi mi dicono che non mi resta molto da vivere. Concedimi dunque l'unica richiesta che ho da rivolgerti, e le mie ultime ore troveranno conforto."
Subito dopo, prendendo la mano della nipote, aggiunse: "Senza dubbio sarà una terribile separazione per entrambe; e sarà anche luttuosa, signore", rivolgendosi a Vivaldi, "Poichè ella è stata come una figlia per me, e io ho fiducia d'aver adempiuto ai doveri di una madre nei suoi confronti. Giudicate dunque quale sarà la sua pena quando non vivrò più. Ma sarà vostra cura alleviarla."
Vivaldi guardò Elena, e stava per parlare quando la zia riprese.
"Il mio dolore non sarebbe ora meno acuto, se non credessi d'averla consegnata a un uomo il cui affetto non potrà diminuire, se avessi dovuto costringerla ad accettare la protezione di qualunque marito. A voi, signore, affido l'eredità della mia bambina. Vegliate sul suo futuro, difendetela con la mia stessa premura dagli affanni, e se possibile, dalle sciagure! Avrei ancora molto da dire, ma le forze mi mancano."
Mentre ascoltava questa appassionata esortazione, ben rammentando le offese che Elena aveva già dovuto sopportare per causa sua, dopo le crudeli accuse pronunciate dal marchese, Vivaldi fu preso da una sorta di generosa indignazione, della quale poté a stento nascondere l'origine, cui seguì una tenerezza che quasi lo sciolse in lacrime:  segretamente fece voto di difendere l'onore di Elena e di proteggere la sua pace, sacrificando a tale scopo ogni altra considerazione.
La signora Bianchi, concluso il sermone ripose la mano di Elena fra quelle di Vivaldi, il quale l'accolse con un'emozione che soltanto il suo volto sapeva esprimere, e con solenne fervore alzò gli occhi al cielo e giurò che non avrebbe mai tradito la fiducia così accordatagli, ma che avrebbe vegliato sulla felicità di Elena con la stessa tenerezza, premura e costanza che questa aveva ricevuta dalla zia; da quel momento si considerava legato a lei da vincoli non meno sacri di quelli conferiti dalla Chiesa, e l'avrebbe difesa come sua moglie fino all'ultimo dei suoi giorni. Nel dire questo la sincerità dei suoi sentimenti traspariva dallo slancio del suo contegno.
Elena piangeva ancora, e agitata da diverse preoccupazioni non parlava, ma abbassato il fazzoletto lo guardò tra le lacrime, con un sorriso delicato e affettuoso, timido ma fiducioso, che rivelava le contrastanti emozioni del suo animo e che fece appello al cuore di Vivaldi meglio di qualunque discorso.
Prima di lasciare la villa, Vivaldi conversò ancora con la signora Bianchi, e venne deciso che le nozze sarebbero state celebrate la settimana seguente, sempre che si fosse potuto convincere Elena ad acconsentire tanto in fretta; quando sarebbe tornato l'indomani, avrebbe probabilmente appreso la sua decisione.
Partì per Napoli ancora una volta saltellante di gioia, ma la sua gioia si attenuò quando arrivò a casa e ricevette il messaggio del marchese che chiedeva di vederlo nel suo gabinetto. Vivaldi prevedeva quale sarebbe stato l'argomento di quel colloquio, e obbedì alla convocazione con riluttanza. Trovò il padre tanto assorto nei pensieri da non accorgersi subito della sua presenza. Poi, levati gli occhi da terra, dove scontento e perplessità sembravano trattenerli, egli fissò uno sguardo severo su Vivaldi e disse: "So che persisti nell'indegno proposito da cui ti misi in guardia. Ti ho affidato fino ad ora al tuo stesso giudizio poiché desideravo concederti l'opportunità di ritrarre con buona grazia le dichiarazioni che avesti il coraggio di fare al mio cospetto circa i tuoi principi e le tue intenzioni; ma non per questo le tue azioni sono passate inosservate. Vengo informato che le tue visite alla casa dell'infelice giovane che fu argomento della nostra precedente conversazione sono avvenute con la medesima frequenza di prima, e che la tua infatuazione non è diminuita."
"Se è la signora Rosalba cui Vostra Signoria allude", rispose Vivaldi, "Ella non è affatto infelice, e non ho difficoltà ad ammettere che il mio attaccamento a lei è più sincero che mai. Perchè, padre diletto", aggiunse, contenendo le emozioni suscitate dall'umiliante riferimento a Elena, "Perchè insistete a opporvi alla felicità di vostro figlio, e soprattutto, perchè continuate a pensare ingiustamente di colei che è degna della vostra stima quanto lo è del mio amore?"
"Giacché non sono innamorato", ribatté il marchese, "E l'età della credulità adolescenziale è ormai tramontata per me, la mia mente non si ostina a rifiutare ogni verifica, ma segue prove concrete e accetta la realtà dei fatti."
"Quali sono, mio signore, le prove che vi hanno tanto facilmente convinto?", fece Vivaldi "Chi è che seguita a oltraggiare la vostra fiducia e a rovinare la mia serenità?"
Il marchese rimproverò aspramente il figlio per tali dubbi e domande, e la lunga conversazione che seguì non potè riconciliare né gli interessi né le opinioni di entrambi. Il marchese persisté nelle accuse e nelle minacce, e Vivaldi nella difesa di Elena e nella conferma dei propri sentimenti e delle proprie decisioni.
L'arte della persuasione non poté in alcun modo indurre il marchese a presentare le sue prove o a rivelare il nome del suo informatore; né le intimidazioni poterono impaurire Vivaldi a fargli rinunciare a Elena. I due si lasciarono ciascuno per parte sua insoddisfatto. Il marchese aveva errato in questa occasione nel seguire la sua abituale politica, poiché le sue minacce e accuse avevano suscitato risentimento e indignazione: laddove cortesi e garbate rimostranze avrebbero certamente ridestato la devozione filiale di Vivaldi, e potevano dare origine nel suo animo a un ripensamento. Adesso nessun conflitto di opposti doveri minava la sua fermezza. Non aveva tentennamenti riguardo l'oggetto della sua disputa; considerando anzi il padre come un arrogante oppressore che intendeva privarlo dei suoi più sacri diritti, e che spinto dal proprio interesse e servendosi di un infimo delatore non si peritava di macchiare il nome di persone innocenti e indifesi, Vivaldi non lasciò né pietà né rimorso confondersi all'intenzione di rivendicare la propria indipendenza. Ancor più di prima desiderò contrarre un matrimonio che, credeva, avrebbe messo al sicuro la propria felicità e la reputazione di Elena.
Il giorno dopo, pertanto, tornò a villa Altieri con impazienza ancor maggiore di conoscere l'esito del colloquio tra la signora Bianchi e sua nipote, nonché la data in cui le nozze si sarebbero potute celebrare. Lungo la strada i suoi pensieri erano interamente occupati da Elena, e camminava meccanicamente senza guardare dove andasse, quando la penombra gettata sulla strada dal ben noto portale lo richiamò alla realtà, e in quell'istante una voce attirò la sua attenzione. Era la voce del monaco, la cui figura comparve nuovamente dinanzi a lui. "Non andare a villa Altieri", pronunciò solennamente, "Poiché la morte è in quella casa!"
Prima che Vivaldi potesse riaversi dallo spavento causatogli da questa brusca affermazione e dalla repentina apparizione dello sconosciuto, questi era già scomparso. Era fuggito nell'oscurità, forse rientrando nelle tenebre da cui era così improvvisamente emerso, giacché Vivaldi non lo vide abbandonare il portale. Vivaldi lo inseguì con la voce, scongiurandolo di mostrarsi e domandando chi fosse morto: ma nessuno rispose. Certo che lo straniero non poteva essersi allontanato dall'arco per altra via che quella che si arrampicava alla fortezza, Vivaldi prese a salire gli scalini; ma poi riflettendo che il metodo più sicuro per comprendere il significato di quella terribile frase era recarsi immediatamente a villa Altieri, lasciò le sinistre rovine e si affrettò a raggiungere la villa.
Un osservatore imparziale avrebbe probabilmente interpretato le parole del monaco come un'allusione alla signora Bianchi, il cui cagionevole stato di salute ne rendeva la fine, seppure improvvisa, non imprevista; ma alla mente sconvolta di Vivaldi solo la vita di Elena sembrava in pericolo. I suoi timori, per quanto scarsamente ragionevoli o verosimili, erano la naturale conseguenza del suo fervido affetto: ma erano altresì accompagnati da un presentimento tanto straordinario quanto orribile. Più di una volta credette di sapere che Elena era stata uccisa. La vedeva ferita, sanguinante e prossima alla morte; vedeva il volto cinereo e lo sguardo consunto, abbandonato dal vigore della vita, rivolto pietosamente verso di lui, come implorandolo di salvarla dal destino che la trascinava alla tomba.   
Quando poi giunse al limitare del giardino, le sue membra tremavano di un'orribile apprensione, tanto che dovette fermarsi un momento, incapace di avventurarsi oltre e di scoprire la verità. Infine radunò il proprio coraggio e si mosse: aperto un piccolo cancello di cui recentemente gli erano state date le chiavi, per il fatto che gli risparmiava un notevole tratto della strada verso Napoli, si diresse verso la casa. Tutto attorno era silenzioso e deserto, molte persiane erano chiuse. Egli tentava di dare un significato a ogni minimo particolare, e si sentiva sempre più mancare man mano che avanzava, finché a ormai pochi passi dal portico i suoi timori trovarono conferma. Udì un fievole suono lamentoso provenire all'interno, seguito da alcuni versi di quel solenne e peculiare recitativo che in certe parti d'Italia funge da requiem per un morente. Le voci erano così lontane e tenui che alle sue orecchie giungeva non più di un mormorio; tuttavia senza fermarsi a chiedere notizie egli si precipitò nel portico e bussò forte ai battenti serrati.
Dopo ripetute chiamate comparve Beatrice, la vecchia domestica, la quale prevenne le domande di Vivaldi: "Ahimè, Signore", disse, "Ahimè, che giorno! Chi l'avrebbe immaginato, chi avrebbe potuto pensare a un evento come questo! Soltanto ieri sera voi eravate qui, e... stava bene come sto io in questo momento, chi avrebbe detto che oggi sarebbe morta?".
"Dunque è morta!", esclamò Vivaldi con il cuore in gola; "è morta!", ripeté, barcollando in direzione di uno dei pilastri, su cui si appoggiò per sostenersi. Beatrice, spaventata dalla sua condizione, stava per andare a chiamare aiuto, ma egli le fece cenno di restare. "Quando è morta", le chiese, respirando a fatica, "Come, e dove?"
"Ahimè! Qui nella villa, signore", rispose Beatrice in lacrime; "Chi avrebbe detto che dovevo passare questo triste momento nella mia vita! Speravo di posare in pace le mie povere ossa."
"Cosa ha provocato la sua morte?", la interruppe Vivaldi impaziente "E quando è morta?"
"Verso le due di questa mattina, signore; verso le due. Che giornata infelice, che momento ho passato!"
"Mi sento meglio", disse Vivaldi sollevandosi; conducetemi alla sua camera...devo vederla. Non esitate, fatemi strada".
"Ahimè! Signore, è uno spettacolo spaventoso, perchè volete vederla? Convincetevi, signore, non andate: è uno spettacolo terribile!"
"Fatemi strada", ripeté Vivaldi inflessibile; "Se rifiutate, la troverò da me."
Beatrice, atterrita dal suo aspetto e dai suoi modi, cessò di opporsi chiedendo solo il permesso di andare a informare la padrona del suo arrivo; ma Vivaldi le tenne dietro su per le scale e lungo un corridoio che girava attorno al lato della casa rivolto a ponente, e che lo condusse a un appartamento le cui stanze erano oscurate dalle persiane chiuse.
Le attraversò in direzione di quella ove giaceva il cadavere. Il requiem era terminato, e nessun suono disturbava il pauroso silenzio che regnava nelle stanze deserte. Alla porta dell'ultima sala, dove fu costretto a fermarsi, la sua agitazione crebbe a tal punto che Beatrice, aspettandosi di vederlo crollare a terra da un momento all'altro, si preoccupò di sorreggerlo con le sue deboli forze, ma egli le fece cenno di desistere. Presto si riebbe ed entrò nella camera ardente, la cui solennità lo avrebbe turbato in qualunque altra circostanza: ma il suo animo era allora troppo severamente provato dalla sofferenza per subire l'influenza delle cose esteriori. Avvicinatosi al letto su cui era steso il corpo, alzò gli occhi su una donna in lutto che piangeva accanto ad esso... e vide Elena!, la quale, sorpresa da quell'inaspettato arrivo, e ancor più dalla agitazione di Vivaldi, più volte gliene chiese il motivo. Ma egli non aveva né la forza né la volontà di rendere una spiegazione che avrebbe profondamente ferito il cuore di Elena, dandole a intendere come il medesimo evento che le causava tanta sofferenza fosse fortuitamente motivo di gioia per lui. Non si trattenne a lungo a turbare il raccoglimento del lutto, e impiegò i pochi minuti che ancora si concesse a contenere le proprie emozioni e a confortare Elena.
Lasciata quest'ultima, conversò nuovamente con Beatrice a proposito della morte della signora Bianchi, e apprese che la signora si era ritirata a riposare, la sera precedente, apparentemente nel suo consueto stato di salute. "Era circa l'una di notte, signore", continuò Beatrice, "Fui svegliata nel primo sonno da un rumore nella camera della padrona. è una cosa penosa per me, signore, venire svegliata nel primo sonno, ed ero irritata - Santa Maria perdonami! - per essere stata interrotta! Perciò non mi alzai, ma poggiai di nuovo la testa sul cuscino, e cercai di dormire. Ma in quel momento udii ancora un rumore: ebbene, mi dissi, qualcuno di casa dev'essere in piedi, è sicuro. Non avevo finito di parlare, signore, che sentii la voce della padroncina chiamarmi: "Beatrice!Beatrice!". Ah, povera giovine! Deve essersi preso un bello spavento, e ne aveva ben donde. Dopo un istante era alla mia porta, pallida come la morte, e come tremava! "Beatrice", mi disse, "Alzati subito, la zia sta per morire." Non attese la mia risposta ma se ne andò addirittura. Santa Maria proteggimi! Credetti di svenire sul colpo."
"Va bene, ma la padrona?", disse Vivaldi, la cui pazienza era allo stremo dopo la tediosa circonlocuzione della vecchia Beatrice.
"Oh, la mia povera padrona! Signore, pensavo che non ce l'avrei fatta a raggiungere la sua stanza; e quando ci arrivai ero a mala pena più viva di lei... Giaceva là, sul letto! Oh, che vista penosa! Giaceva là, faceva pena: vidi che stava per morire. Non poteva parlare, anche se ci provava spesso, ma era in sensi, perchè guardava sempre la signora Elena, e poi riprovava a parlare, faceva male al cuore vederla. Sembrava che avesse in animo qualcosa, e provò a rivelarla quasi fino all'ultimo; e quando afferrò la mano della Signora Elena la guardò in viso con un'espressione affranta che nessuno che non abbia un cuore di pietra potrebbe sopportare. La mia povera giovane signora era proprio avvilita, e piangeva come se il cuore le si spezzasse. Povera signorina! Ha davvero perduto un'amica, una come non potrà sperare di averne mai più."
"Ma troverà qualcun altro forte e affezionato come lei!", esclamò con fervore Vivaldi.
"Vogliono i santi che così sia!", rispose Beatrice con un'ombra di dubbio.
"Tutto quello che si poteva fare per la nostra cara signora è stato tentato, ma invano. Non riusciva a ingoiare le medicine che le dava il medico. Era sempre più debole, anche se spesso tirava dei profondi sospiri, e poi mi stringeva forte la mano, ma così forte! Alla fine distolse lo sguardo dalla signora Elena, e gli occhi le si appannarono e rimasero fissi, come se non vedesse più quello che le stava dinanzi. Ahimè! Capii che se ne stava andando; la sua mano non premeva più sulla mia come uno o due minuti prima, ed era gelida come la morte. Anche il viso si trasformò in pochi minuti! Questo accadeva alle due circa: morì prima che il sacerdote potesse confessarla."
Beatrice smise di parlare, e ricominciò a piangere; Vivaldi quasi piangeva con lei, e trascorse del tempo prima che potesse nuovamente dominare la propria voce, e domandare quali fossero stati i sintomi del male della signora Bianchi, e se avesse mai avuto attacchi così improvvisi nel passato.
"Mai, signore!", rispose la vecchia domestica; "E sebbene, a dire il vero, fosse molto malata da tempo, e anzi peggiorasse, si può dire tuttavia..."
"Cosa volete dire?" fece Vivaldi.
"Ecco, signore, io non so cosa pensare della morte della padrona. A dire il vero non v'è nulla di sicuro; e mi si prenderebbe in giro se dicessi apertamente la mia idea, perchè nessuno mi crederebbe, è così strano, ma io devo pur pensare qualcosa, nonostante tutto."
"Parlate chiaramente", disse Vivaldi, "Non avete a temere alcun rimprovero da parte mia."
"Da voi no, signore, ma se la voce dovesse spandersi, e si venisse a sapere che sono stata io a metterla in giro..."
"Per parte mia, non lo rivelerò a nessuno", ribatté Vivaldi con crescente impazienza, "Ditemi senza timore tutto ciò che avete in mente."
"Bene, allora, signore, devo ammettere che non mi piace la morte così improvvisa della padrona, no, né il modo in cui è avvenuta, né il suo aspetto dopo la morte!"
"Parlate esplicitamente, venite al punto", la esortò Vivaldi.
"Vedete, signore, vi è certa gente che non capirebbe neppure a parlare in maniera chiarissima, e sono sicura che le mie parole sono abbastanza chiare. Se posso dirvi la mia idea... io credo che dopo tutto la signora non abbia trovato la morte in modo naturale!"
"Come!", esclamò Vivaldi, "Per quale motivo?"
"Vedete, Signore, ve l'ho già detto: non mi piace la sua morte improvvisa, né il suo aspetto dopo, né..."
"Santo Cielo!" la interruppe Vivaldi, "Alludete al veleno!"
"Piano, signore, piano! Non dico questo; ma non mi pare che sia morta di malattia."
"Chi è venuto alla villa ultimamente?" chiese Vivaldi, con voce tremante.
"Ahimé, signore! Non è venuto nessuno; la padrona viveva così ritirata che non vedeva nessuno."
"Proprio nessuno?", insisté Vivaldi. "Riflettete bene, Beatrice, neppure una visita?"
"Nessuna visita da lungo tempo, ormai, eccetto voi e il cugino, il signor Giotto. L'unica persona che sia venuta fra queste mura nelle ultime settimane, a parte voi, per quel che mi ricordo, è una sorella del convento che viene a prendere le sete ricamate della padroncina."
"Sete ricamate? Quale convento?"
"Quello di Santa Maria della Pietà, laggiù, signore; se vi accostate a questa finestra ve lo mostro. Eccolo là, tra i boschi della collina, proprio in cima ai giardini che scendono verso la spiaggia. Accanto c'è un orto di ulivi, e guardate, signore, là si vede una cresta di rocce rosse e giallastre ancora più alta del bosco, sembra quasi rovinare sulle antiche cime. L'avete trovato, signore?"
"Quanto tempo fa è venuta questa sorella?", riprese Vivaldi.
"Tre settimane almeno, signore."
"E siete certa che nessun altro ha visitato la villa durante questi giorni?"
"Nessun altro, signore, tranne il pescivendolo e il giardiniere, e un uomo che porta maccheroni e altre cose del genere; perchè la strada per Napoli è lunga, signore, e io ho così poco tempo."
"Tre settimane, voi dite! Avete detto tre settimane, vero? Ne siete certa?"
"Tre settimane, signore! Santa Maria della Pietà! Credete, signore, che potevamo restare digiuni per tre settimane! No, sono venuti quasi ogni giorno."
"Parlo della suora", disse Vivaldi.
"Oh, certo, signore", rispose Beatrice, "è tanto almeno che non è più venuta."
"Ciò è strano!" osservò Vivaldi meditabondo, "Ma parlerò con voi un'altra volta. Nel frattempo, vorrei che voi faceste in modo che io veda il volto della vostra defunta padrona senza che la signora Elena lo venga a sapere. E fate attenzione, Beatrice, non fate parola con nessuno delle vostre congetture riguardo la morte della signora Bianchi: non lasciatevi sfuggire nulla che tradisca i vostri sospetti dinanzi alla vostra giovane padrona. Sospetta anche lei nello stesso modo?"
Beatrice rispose che non credeva che la signora Elena avesse dei sospetti; e promise di rispettare fedelmente i suoi ordini.
Vivaldi lasciò allora la villa, meditando sulle circostanze che aveva appena appreso, e sulla profetica ammonizione del monaco. Non poteva evitare di riconoscere un collegamento tra le due cose, e tra esse e la morte improvvisa della signora Bianchi; e gli venne in mente per la prima volta che quel monaco, quel misterioso sconosciuto, altri non fosse che Schedoni, che recentemente aveva visto salire con maggiore frequenza del solito all'appartamento della madre. Quasi sobbalzò per l'orrore dei sospetti conseguenti a tale deduzione, e si precipitò a respingerla, quasi fosse un veleno che avrebbe guastato per sempre la sua tranquillità. Ma nonostante avesse allontanato all'istante il sospetto, quel pensiero gli si riaffacciava alla mente; si sforzò allora di ricordare la voce e l'aspetto dello straniero per paragonarli a quelli del Confessore.
La voce di questo, trovava, era di tono diverso, e la figura dissimile per dimensioni e proporzioni. Il confronto non gli impedì del resto di congetturare che lo straniero fosse uno degli agenti del Confessore, forse colui che di nascosto spiava i suoi movimenti, e che aveva diffamato Elena; ma entrambi, se di due persone si trattava, erano evidentemente agli ordini dei suoi genitori. Furente di indignazione contro gli ignobili artifizi che credeva fossero stati impiegati ai suoi danni, e impaziente di incontrarsi con quel calunniatore, decise che avrebbe preso delle misure energiche per scoprire la verità, o costringendo il Confessore a parlare, o andando a scovare il suo agente, che, immaginava, doveva temporaneamente nascondersi tra le rovine di Paluzzi.
Le persone del convento che Beatrice gli aveva indicato non sfuggirono alle sue riflessioni, ma non vi era alcuna ragione di crederle nemiche della sua Elena, la quale, anzi, come aveva appreso, era da anni in amichevole rapporto con loro. Le sete ricamate di cui aveva parlato la vecchia domestica gettavano luce sufficiente sulla natura di quel rapporto, e la scoperta di quest'ulteriore aspetto della vita di Elena aumentò l'ammirazione e l'affetto che egli le aveva portato fino ad allora.
I particolari sospetti cui Beatrice aveva accennato a proposito della causa del decesso della padrona gli tornavano in mente senza posa; gli sembrava singolare, e a volta altamente improbabile, che ci fosse qualcuno tanto interessato alla morte di quella donna, all'apparenza assolutamente irreprensibile, da somministrarle il veleno. Quale fosse il movente che aveva provocato un gesto così orribile, era ancora più difficile stabilire. Certamente da qualche tempo le sue condizioni erano peggiorate; ma la subitaneità della sua fine e la stranezza di certe circostanze che l'avevano preceduta e di altre che vi avevano fatto seguito costringeva Vivaldi a dubitare. Era certo, comunque, che i suoi dubbi sarebbero svaniti quando avesse esaminato il cadavere: e Beatrice gli aveva promesso che se fosse tornato alla villa di sera, quando Elena già riposava, lo avrebbe introdotto nella camera della defunta. Trovava un poco ripugnante alla sua coscienza visitare, di nascosto o meno, la residenza di Elena in quel momento delicato, ma era necessario che vi conducesse un professore di medicina del cui giudizio potesse fidarsi, per appurare la causa della morte della signora Bianchi. E giacché credeva che prestissimo avrebbe acquisito il diritto di vendicare l'onore di Elena, tale considerazione non lo preoccupò più di quanto sarebbe avvenuto in altro frangente. L'indagine che lo chiamava ad Altieri era, inoltre, di natura troppo grave e importante perchè vi rinunciasse facilmente; aveva perciò assicurato Beatrice che si sarebbe presentato puntualmente all'ora da lei stabilita. Il progetto di dare la caccia al monaco venne nuovamente rimandato.