Libro Primo, Capitolo Quinto
LIBRO PRIMO
CAPITOLO QUINTO
E se fosse un veleno che il frate
ha subdolamente amministrato?
Shakespeare
Vivaldi, affievolitosi il primo moto di rimpianto e di compunzione per avere insultato un uomo di età avanzata e dedito a sacra professione, e considerando con maggiore obiettività certi particolari dell'atteggiamento del Confessore, sentì nuovamente il sospetto affiorare alla sua mente. Ma poichè la generosità della sua natura lo spingeva a giudicare questo come un sintomo della propria debolezza, piuttosto che come un indizio della verità, si sforzò di respingere qualunque congettura gettasse una luce sfavorevole su Schedoni.
Quando scese la sera si affrettò a villa Altieri, e avendo incontrato appena fuori città, come convenuto, un medico sul cui onore e sulla cui scienza credeva di poter contare, proseguirono la strada insieme. Nella confusione dell'ultimo incontro con Elena aveva dimenticato di riconsegnare la chiave del cancelletto, sicché potè ora entrare come al solito, sebbene non potesse superare del tutto la propria riluttanza a visitare così in segreto e nottetempo la dimora di Elena. Ma era quello l'unico modo di introdurvi il dottore, il cui responso era vitale per la sua tranquillità, senza destare sospetti che avrebbero reso Elena infelice, forse per sempre.
Beatrice, che era rimasta ad attenderli nel portico, li condusse alla camera dove era esposto il cadavere, e Vivaldi, pur notevolmente emozionato da principio, presto riprese la sua compostezza e si avvicinò verso una sponda del letto, mentre il dottore si piazzò dall'altra parte. Non volendo esporre il proprio turbamento allo sguardo della domestica e desiderando altresì discutere liberamente con il medico, prese la lampada dalle mani di Beatrice e la allontanò.
La luce rischiarò il volto livido del cadavere: Vivaldi lo osservò con desolato sbigottimento, e dovette ricorrere alla propria ragione per convincersi che appena la sera prima quello stesso volto era stato animato come il suo, e lo aveva visto in lacrime nell'affidargli, con la più affettuosa apprensione, la felicità della nipote, presentendo, ahimé! troppo giustamente, la vicinanza della fine. I particolari di quella scena comparveo innanzi ai suoi occhi come una visione, agitandolo fin nei recessi dell'anima. Vivaldi era perfettamente consapevole dell'importanza del compito affidatogli, e nel chinarsi sulla figura pallida e inanimata della signora Bianchi rinnovò solennemente la promessa fatta a Elena di meritare la fiducia della sua defunta protettrice.
Prima che Vivaldi prendesse coraggio abbastanza per chiedere l'opinione del dottore, il quale stava ancora esaminando il volto della morta con serietà e disappunto, i suoi stessi sospetti si rafforzarono in virtù dell'aspetto del cadavere, specialmente del colore nerastro della pelle che sembrava indicargli che la morte fosse stata causata da avvelenamento. Temeva di rompere un silenzio che prolungava la sua pur debola speranza che così non fosse; e da parte sua il medico, preoccupato forse dalle conseguenze della rivelazione di ciò che realmente pensava, si asteneva dal parlare.
"Indovino la vostra opinione", disse infine Vivaldi, "Ed essa coincide con la mia."
"Questo non lo so, signore", rispose il medico, "Sebbene credo di capire quale sia la vostra. L'evidenza è sfavorevole, ma non mi sento di stabilire in base ad essa se davvero è come voi sospettate. Esistono altre circostanze che possono causare simili effetti."
Spiegò le ragioni del suo convincimento, che parvero plausibili anche a Vivaldi, e concluse chiedendo di parlare a Beatrice, "Poichè desidero capire quali fossero esattamente le condizioni di questa donna nelle ore che precedettero la morte."
Dopo aver conversato piuttosto a lungo con Beatrice, quali che fossero gli esiti delle sue domande il dottore ripetè quasi invariate le sue precedenti affermazioni, ovvero che vi erano troppe circostanze contraddittorie perchè si potesse stabilire se la signora Bianca fosse morta di veleno o altrimenti. Chiarì con maggiore precisione di prima i motivi che avrebbero reso incerta, nel caso presente, l'opinione di qualunque esperto di medicina. Comunque, sia che temesse di assumersi la responsabilità di un responso che equivaleva a un'accusa di omicidio, sia che fosse realmente propenso a credere che la signora Bianchi fosse morta in maniera naturale, certamente il medico dava mostra di adottare quest'ultima opinione, e fece il possibile per dissipare i sospetti di Vivaldi. E vi riuscì al punto da indurlo a rinunciare a proseguire l'inchiesta, costringendolo quasi a credere che la signora Bianchi fosse morta per cause naturali.
Vivaldi si soffermò per un poco presso il letto di morte della signora Bianchi, e preso l'ultimo commiato dalla sua figura silente lasciò la stanza e la casa con la stessa circospezione con cui vi era entrato, senza essere visto, credeva, né da Elena né da altri. La mattina albeggiava sul mare allorché Vivaldi uscì nel giardino; gli unici esseri umani che poté vedere a quell'ora erano dei pescatori che indugiavano sulla spiaggia, o tiravano in secco le loro barchette. Era del resto troppo tardi per riprendere le indagini che si era proposto di svolgere a Paluzzi, e il chiarore mattutino lo indusse a rientrare. A Napoli, dunque, tornò con animo in parte consolato dalla speranza che la signora Bianchi non fosse caduta prematuramente, e dalla certezza che Elena stava bene. Durante il camminò passò senza fermarsi accanto al fortino, e, separatosi dal medico, fu lasciato entrare nel palazzo del padre da un domestico di fiducia.